Le perdite dei derivati/swap della Regione Sicilia
I derivati registrano una perdita complessiva di 528 milioni. Sono almeno cinque i dubbi dell’esperto
È un bagno di sangue (in milioni di euro) quello che si appresta a fare la Regione siciliana con l’annunciata chiusura anticipata dei contratti derivati che scadono tra il 2021 e il 2023: l’avventura degli swap comporterà di sicuro ai contribuenti perdite pari a 528 milioni complessivi, inclusa una stima di costi occulti (applicati indebitamente dalle banche) di almeno 30 milioni. Su quest’ultima cifra non si riesce a essere più precisi soltanto perché l’assessorato all’Economia della Regione siciliana, interpellato da Plus24», non ha fornito i contratti stipulati con le banche.
Non solo. La chiusura anticipata dei contratti non porterebbe a «far conseguire ai bilanci regionali, a partire dal 2019, futuri consistenti risparmi di spesa di 40 milioni di euro annui», così come annunciato il 2 novembre scorso dall’assessorato all’Economia, in quanto per chiudere l’operazione l’ente territoriale dovrebbe versare subito a cinque banche oltre 190 milioni, anziché i 40 milioni di “flussi” attesi (cioè le rate da pagare sui derivati) per ogni anno da qui al 2023. Ma ricostruiamo la vicenda.
I tre mutui stipulati con CDP
Il 27 giugno 2005 l’ente ristrutturò tre mutui a tasso variabile stipulati dal 2001 al 2003 con Cassa depositi e prestiti (Cdp, per un totale di circa 963 milioni), tramite la stipula di contratti derivati “collar” che avevano l’obiettivo di contenere l’eventuale aumento dei tassi di interesse.
L’operazione fu effettuata con Nomura, Merrill Lynch, Deutsche Bank, Lehman Brothers (sostituita poi da Rbs, Royal bank of Scotland, contratto estinto però nel 2013 con presumibile perdita), Banca nazionale del lavoro e Banco di Sicilia (oggi UniCredit).
La swap chiamato “Collar”
Questo derivato permette alla Regione di fissare un tetto massimo (cap) e minimo (floor), chiamato per l’appunto collar (corridoio), in cui oscillano i tassi di interesse: la copertura scatta soltanto in caso di rialzi dei tassi oltre una certa soglia, ma se i tassi dovessero scendere (come quelli attuali che sono bassissimi già da diversi anni) la presenza del floor comporta il pagamento di “rate” consistenti.
«In un contesto di aumento dei tassi – spiega Vincenzo Cagnetta, analista e consulente finanziario indipendente di studio Enca – poteva avere senso nel 2005 coprire l’esposizione debitoria a tasso variabile dal rischio di rialzo degli stessi. Infatti, a seguito della Fed anche la Bce si apprestava ad aumentare i tassi a causa delle spinte inflazionistiche, dopo un lungo periodo durante il quale l’Euribor era rimasto fermo al 2%».
Ma ecco il punto dolente. Con l’aumento dei tassi, puntualmente arrivato, nel giugno del 2006 anziché lasciare le cose come stavano, nei contratti furono ridotti (come riportato sul bollettino diffuso dalla Regione il 2 novembre scorso) i livelli di protezione del collar. In pratica, nel momento in cui l’ente siciliano iniziava o stava per iniziare a incassare i flussi differenziali dai derivati, ecco che le banche alzano la soglia di protezione intaccando la stessa funzione di copertura dei contratti. «Sembra proprio – continua Cagnetta – che i contratti siano stati ristrutturati in senso peggiorativo per la Regione».
Scoppio della bolla subprime
Con la crisi dei mutui americani del 2008, anche i tassi crollano: se dal lato dei mutui la Regione si ritrova a dover pagare meno interessi, sul fronte dei derivati la situazione è molto critica. Secondo la Corte dei conti, la Regione ha pagato dalla stipula fino al 2017 flussi differenziali per 297,4 milioni che, sommati alla spesa media annua (sempre per flussi) di circa 39 milioni, l’ammontare a oggi è di 336,4 milioni.
Ancora. Al 31 agosto scorso gli swap avevano un Mark to market (Mtm, valore di mercato, cioè quanto la Regione deve versare alle cinque banche per estinguere anticipatamente i derivati) di oltre 191 milioni. E così, tra i flussi pagati e il Mtm, la perdita complessiva dell’intera operazione sui derivati ammonta a quasi 528 milioni.
Al di là dei derivati, infine, la Regione deve saldare il residuo dei tre mutui contratti tra il 2001 e il 2003 con Cdp. A oggi la somma da restituire è di quasi 297 milioni (sui 963 iniziali), mentre il nominale residuo dei derivati è ampiamente superiore (quasi 390 milioni ma non si devono restituire, è una cifra che serve soltanto per calcolare di quanto devono essere le rate degli swap).
Cosa si dovrebbe fare adesso?
«L’eventuale chiusura anticipata degli swap – sintetizza Cagnetta – non comporterà oggi un effettivo risparmio per la Regione. Poi, il fatto che il nozionale degli swap non corrisponda a quello dei mutui non rispetta i principi Consob (le perdite in termini di rate e di Mark to market sarebbero state più contenute). Inoltre, sarebbe importante valutare gli eventuali costi occulti applicati dalle banche (che in assenza dei contratti non è possibile effettuare con precisione), così come andrebbe fatta una valutazione degli swap in base agli scenari probabilistici, cioè stabilire su chi pesava l’alea del contratto».
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